Propter Christum vitam perdere
Perdere la vita per amore di Cristo
Le parole scelte per il motto episcopale si rifanno al Vangelo di Marco (Mc 8,34-35) laddove l’evangelista narra che Gesù, «convocata la folla insieme ai suoi discepoli», descrive le condizioni necessarie per andare dietro a lui: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso». Chi vuole essere discepolo di Gesù non può pensare solo a sé, fare del suo io il padrone di tutta la vita ritenendo così di dare pienezza alla propria esistenza. In realtà «chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». La vita si realizza donandola e si sviluppa effondendola. Chi invece se la tiene stretta, la soffoca. Gesù con la sua esistenza ci ha mostrato che la vera vita si trova nel dono di se stessi. Chi la vuole tenere stretta per sé solo, perde la possibilità di un’autentica vita che rende felici. Nelle parole scelte per il motto episcopale ritroviamo così sintetizzato il programma di vita di Cristo e di ogni suo discepolo.
Commento araldico
Secondo la tradizione araldica della Chiesa cattolica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:
- uno scudo, che può avere varie forme, sempre riconducibili a fattezze di scudo araldico, con simbolismi tratti da idealità personali del Vescovo oppure da riferimenti al suo ambiente di vita o ad altre particolarità;
- una croce astile, in oro, posta verticalmente dietro lo scudo;
- un cappello prelatizio di colore verde con cordoni a dodici fiocchi pendenti;
- un cartiglio inferiore recante il motto episcopale.
In questo caso è stato adottato uno scudo di foggia bucranica, frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica, mentre la croce astile d’oro è trifogliata con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Il capo, parte di privilegio dello scudo araldico, è in rosso, il colore del sangue che Gesù Cristo versò per la nostra redenzione e che intrise la corona di spine impostagli sul capo. Una di queste spine è custodita, sin dal 1308, nella chiesa cattedrale di Andria, diocesi di origine del Vescovo Massaro.
Il rosso, colore della carità, è anche richiamo al sangue di santa Sabina, vergine e martire, patrona della Chiesa dei Marsi affidata alle cure pastorali del nuovo Vescovo.
Sul capo campeggia un sole in oro, caricato delle lettere IHS, Iesus hominum salvator, Gesù salvatore dell’umanità, per amore del quale, secondo quanto affermato nel motto episcopale, il discepolo deve essere pronto a perdere la vita.
La stella è simbolo della Vergine Maria invocata come «stella mattutina» nelle litanie lauretane e venerata con il titolo di Madonna di Pietraquaria nella città di Avezzano e di Madonna dei Miracoli in quella di Andria. Alla protezione materna della Madre celeste il nuovo Vescovo affida il suo nuovo ministero.
La campitura su cui è posta la stella è in azzurro, colore simbolo della incorruttibilità del cielo.
Infine, ecco due prodotti della terra e del lavoro dell’uomo: le spighe di grano e il ramo d’olivo. Le spighe di grano richiamano l’eucaristia, memoriale della morte e risurrezione di Cristo, nonché il dono della vita, condizione primaria richiesta a ogni seguace di Gesù. L’ulivo costituisce un chiaro riferimento alla terra pugliese, terra di origine di mons. Massaro, ricca di queste piante durevoli fino all’estremo e prodighe di olio che ne è il loro frutto. L’olivo simboleggia notoriamente la pace, mai così invocata in questi tempi recenti anche da parte di papa Francesco, affinché il mondo abbandoni le vie delle guerre, delle discordie che dividono e originano il male.
I due simboli delle spighe di grano e del ramo di olivo campeggiano sull’argento, il colore che identifica la trasparenza nonché i principi di verità e di giustizia, doti su cui poggia lo zelo pastorale del Vescovo.