Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla cattedrale dei Marsi in Avezzano
Quest’anno i fuochi non hanno illuminato la notte della vigilia, non hanno illuminato il monte Salviano, il monte del Santuario, le contrade della nostra città. E non ci sono stati attorno ai fuochi volti in cordata di affetti, in convivialità, in conversazioni ritrovate, ma dentro le case il Rosario della preghiera e sui balconi, sui davanzali, sul palazzo di città un lume acceso. Una candela accesa per ritrovare la comunione delle anime, per sognare altre notti dove la persona possa essere restituita alla salute dell’anima e del corpo. Un lume acceso per esprimere la nostalgia e il desiderio di un mondo dove ogni uomo possa tornare a stringere altre mani, consegnando frammenti di luce e non di oscurità, frammenti di amore e non di divisione. Un lume acceso per rinnovare il desiderio di una luce senza tempo, sempre accesa e mai spenta. Una luce che scalda il cuore e lo riempie di infinito, ovvero la luce della fede. Quella che ci raggiunge nei cammini della lontananza e ci fa rientrare nella casa della verità, nell’unica casa della verità, in Dio. Nel Dio della vita e della storia, in Dio casa dell’eterno che ha voluto prendere dimora nel grembo verginale di una donna: nella Vergine Maria. E noi siamo qui oggi per ricomporre parole spezzate, per ridare lucentezza ai nostri sguardi, per incrociare lo sguardo di Maria, che dal suo santuario di Pietraquaria rinnova la sua protezione materna a ognuno e a tutti, alla nostra città di Avezzano. Oggi siamo distanti e insieme, siamo l’uno accanto all’altro in quella comunione dello spirito che è la sfida più grande alle distanze del cuore. Noi siamo qui per ricomporre speranze e affidamenti, certi che qui con noi c’è Maria, nelle vostre case, in ognuna delle vostre case. Nel cuore di Maria entriamo tutti e nessuno viene scartato né rimane fuori. Il cuore di Maria è la patria dove è sempre possibile rientrare, anche quando ci allontaniamo e percorriamo le strade della confusione.
Maria è la patria che genera continuamente il volto della misericordia, il volto di Gesù, suo Figlio e redentore nostro. È un tempo desolato il nostro, una desolazione che ha trovato descrizione accorata nelle parole, da voi tutti già conosciute, pronunciate da papa Francesco, nel sagrato della basilica di San Pietro il 27 marzo. «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, presi alla sprovvista da una tempesta improvvisa e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti». Ecco la verità. Ecco dov’è conficcato il nostro oggi e dove sarà conficcato il nostro domani, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Non è una verità intimistica ma è una verità culturale, sociale, etica. Una verità che deve diventare forza per risalire, risposta per riprendere il largo, coraggio per cambiare abitudini e stili di vita per inserire la parola fraternità nelle relazioni, nell’economia, perché fraternità vuol dire essere interconnessi, vuol dire la cura dell’altro. E la cura dell’altro parte dal rompere le distanze dell’anima. Possiamo e dobbiamo rispettare i distanziamenti sociali, ma i distanziamenti dell’anima non sono né umani e né cristiani. Abolire i distanziamenti dell’anima vuol dire costruire e ricostruire l’audacia di operare sempre un ponte tra il mio destino e il destino dell’altro. In questi giorni, tra le innumerevoli storie di dolore e di speranza, viste e ascoltate, c’è questa che ora vi trasmetto. È di una donna uscita dall’incubo del virus che dice: «Ciò che mi fa paura è la mancanza di solidarietà e di amore in senso civico. In troppi restano a casa per paura, non per amore dell’altro.
È devastante, soprattutto se quel sospetto diventa abitudine, se si spezza il fondamento dello stare insieme, dell’essere comunità. Potremmo ritrovarci ancora più soli di prima e vedere nell’altro una minaccia». Ecco l’orizzonte che ci attende come obbligo dentro e oltre la storia che stiamo attraversando: rompere la cultura della frammentazione, aprire e riaprire la chiave dell’impegno per la casa comune. Ora e ancor più domani, nella casa comune ci sono quelli sempre seduti alla tavola della festa e quelli che, come Lazzaro, nell’impoverimento accaduto e nelle relazioni scomposte, raccolgono solamente le briciole che cadono dalla tavola. I privati del lavoro e del reddito, le famiglie con fragilità permanenti, gli anziani esclusi dalla casa, i bambini con povertà educativa, gli immigrati, gli indebitati. Quante storie di pianto raccolte in questi giorni. Sono convinto che in una rinnovata sinergia che è già in atto tra istituzioni e Chiesa, tra istituzioni e volontariato, il grande cuore della città di Avezzano e il grande cuore della Marsica, saprà immettere nel tessuto sociale quel Vangelo vissuto e praticato che rende ognuno, nella sua collocazione, portatore di umanesimo, per non lasciare indietro nessuno e per rimettere in cammino chi si è fermato stanco e sfiduciato ai bordi della strada. È Maria che ce lo chiede, lei è la Madre di Gesù e Gesù non è un’astrazione, non è un simbolo, è lui il povero, lo scartato, il dimenticato, l’affamato, lo straniero. Gesù non è il silenzio del cielo, ma è il cielo che diventa carne da amare e da accogliere.
Vergine Maria, Madonna di Pietraquaria, in questo nostro tempo di abbracci virtuali ti chiedo, come pastore di questa terra, di abbracciare e di mettere sotto il tuo manto di protezione ogni persona di questa nostra amata città di Avezzano, che si affida a te. Madre di ogni speranza, suscita nuove energie, suscita donne e uomini capaci di rigenerare, come già nel tempo del terremoto, un tessuto sociale oggi esposto all’inquietudine e alla fragilità. Accogli con una carezza materna i nostri defunti, consola i nostri malati, con la stessa tenerezza che avevi quando tenevi tra le braccia tuo Figlio. Il tuo respiro faccia loro comprendere che nessuna lacrima va perduta dinanzi a Dio, che la croce è sempre sapienza di risurrezione. La tua consolazione si trasmetta a cristiani capaci di vera compassione, capaci di inventare tempi e luoghi dove l’amore ripari i disastri causati dall’indifferenza. Sostieni quanti negli ospedali, nelle Chiese, nella società civile, nella cosa pubblica sono costruttori reali del bene comune. Pellegrini verso l’oltre del tempo, verso l’eterno: ci accompagni il desiderio che trasfigura ogni desiderio, l’approdo alla salvezza eterna e la visione del tuo volto di Madre. Un desiderio che ti rivolgiamo, con la prima preghiera che abbiamo imparato, e abbiamo appreso dalle braccia delle nostre mamme, la preghiera dell’abbandono e della fiducia.
Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.