Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla cattedrale dei Marsi in Avezzano
Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; è un pover’uomo costretto a mendicare per sopravvivere: non conosce la bellezza della luce, la poesia dei colori, il sorriso dei volti. È un emarginato; è un escluso avvolto nella solitudine; è un uomo marchiato, bollato. Ma Gesù non passa oltre. Tutti passano oltre. Gesù si ferma, si avvicina, lo tocca con tenerezza e lo guarisce. Mentre tutti i discepoli e i farisei discutono sulla condizione del cieco, Gesù gli apre gli occhi… e gli occhi passano dall’oscurità alla luce. E non solo alla luce del corpo ma anche e soprattutto alla luce della fede. Il dialogo tra il Signore e il mendicante è di una bellezza vertiginosa: «Credi nel Figlio dell’uomo?». «E chi è?», «Tu lo hai visto, è colui che ti parla». «Io credo, Signore», e si butta in ginocchio. Dalla notte del cuore il mendicante entra nel giorno della verità. Così la narrazione del Vangelo entra nella nostra vita e diventa la narrazione della nostra speranza.
La fede non è un possesso tranquillo, non è un cuscino su cui riposare, non è neanche un tranquillante della coscienza. La fede è continua domanda, continua interrogazione affinché Dio ci apra gli occhi per riconoscere in Gesù la luce vera dell’esistenza. La fede è, in questo momento di dolore, avvertire la presenza di Cristo che porta la nostra stessa croce, che condivide il nostro stesso dolore. La nostra croce è la croce di Gesù, le nostre lacrime sono le lacrime di Gesù. Il cristiano è un mendicante che incessantemente chiede a Gesù di aprirgli gli occhi, affinché con gli occhi del Signore possa giudicare la sua vita e possa vedere il volto del prossimo, non più un volto da scartare, ma un volto da amare. Non siamo più ciechi quando assumiamo gli occhi stessi di Gesù. Non siamo più nel buio, non siamo più nella notte ma diventiamo capaci di dare concretezza al monito di san Paolo: «Un tempo eravate tenebre, ora siete luce del Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà giustizia e verità». Ecco il nostro orizzonte: essere figli della luce nella grande notte del mondo contemporaneo. La notte dei tanti che non soffrono più per la mancanza di Dio; la notte dell’indifferenza; la notte della mancanza di passione per la verità; la notte delle funzioni, delle coperture dentro cui nascondere il vuoto e il vizio; la notte dove trionfa soltanto il calcolo e la furbizia e solo ciò che è utile e conveniente; la notte degli ideali di una libertà dove tutto è permesso. E allora vivere da figli della luce vuol dire non camminare nella notte da ciechi. Ciechi che non sanno dove vanno. Ciechi di verità vuol dire accendere negli altri la luce di Cristo, la luce che Cristo ha messo nei nostri occhi; la luce di un Vangelo che è unica risposta alla notte del nostro cuore e alla notte del mondo.
Essere portatori di luce non è uno slogan ma è un mandato che Gesù conferisce a noi, suoi discepoli. Nella lettera enciclica Lumen fidei, il papa scrive con accenti di profondità: «La luce di Gesù brilla come uno specchio sul volto dei cristiani e così si diffonde per riflettere ad altri la sua luce». Come vostro Vescovo vi invito a comprendere che nessun ambito ci è estraneo per immettere la luce di Gesù: portatori di luce nella famiglia. Ci sono ferite, dentro tante famiglie, ferite di sofferenza, di lontananza, di fragilità. Ma è altrettanto vero che l’unico antidoto alla decomposizione è tornare alla radice, è tornare alla trasmissione della fede dei genitori verso i figli, dei figli verso gli anziani. È rendere Cristo il cemento dell’amore indissolubile, soltanto su Cristo regge la famiglia. Portatori di luce nelle relazioni, ricomponendo con la misericordia e il perdono, da persona a persona, relazioni sfilacciate e interrotte. Portatori di luce nella vita sociale, giudicando e agendo con la bussola del Vangelo, non con lo sguardo deformato della logica dell’io contrapposto alla logica del noi. Lasciatemi fare un riferimento semplice e concreto: ricominciamo a guardarci negli occhi. Di fronte ai supermercati, oggi icona delle relazioni, mentre si attende di fare la spesa, si vedono mascherine e occhi che fuggono lo sguardo degli altri. E altri che a loro volta fuggono il nostro sguardo. La paura degli altri è terribile. Ricominciamo a guardarci negli occhi, così prepareremo la luce del domani. Iniziamo da oggi. Nel nostro cammino di credenti alla sequela di Cristo, certamente non mancheranno cadute e smarrimenti. È inevitabile. Ci accompagni e ci sostenga la preghiera del salmo della liturgia di oggi, il salmo della fiducia e della speranza: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Ad acque tranquille mi conduce, rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino. Anche se vado per una valle oscura non temo alcun male perché tu sei con me. Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita». Amen.