Omelia di S.E. Mons. Pietro Santoro
dalla parrocchia di San Giovanni in Avezzano
«In ogni cuore, perfino nella persona più corrotta e lontana dal bene, è nascosto un anelito di luce. C’è sete di verità, c’è sete di Dio. Ogni persona è chiamata a riscoprire cosa conta veramente, di cosa ha veramente bisogno, cosa fa vivere bene e, nello stesso tempo, cosa sia secondario, e di cosa si possa tranquillamente fare a meno». Queste sono le parole di papa Francesco, parole di questi giorni, dei giorni del dolore. Parole che assumono il tempo della sofferenza che stiamo attraversando e che ci invitano ad una grande e profonda interrogazione interiore. Un’interrogazione che ognuno deve collocare nel silenzio della propria anima. Su quali radici essenziali poggia la mia vita? quanto di superfluo, di inutile, di involucro condiziona il mio agire e le mie scelte? Il mio desiderio di vivere bene è sintonizzato su l’uguale desiderio del mio prossimo, di vivere bene? Poi la domanda che riassume ogni domanda: io, mendicante di speranza, dove posso trovare la risposta al mio desiderio di verità, al mio desiderio di bellezza? Non è un luogo questo approdo del cuore, è una persona: è Gesù, è Cristo, volto del Dio entrato nella storia.
È Cristo vivo, oggi, e cammina con noi. Condivide le nostre stanchezze e percorre le nostre strade e poi si siede. Si siede là dove le strade si incrociano, e attende. Un Dio che attende. Come attese la donna samaritana, seduto al pozzo nel villaggio di Sicar. È mezzogiorno, l’ora del caldo torrido; arriva la donna per attingere acqua. Il Signore le chiede da bere, come un povero che tende la mano. La donna si stupisce, anche perché chi le chiede da bere è un giudeo, e tra giudei e samaritani c’erano barriere secolari di odio. Inizia così un dialogo serrato, da cuore a cuore, fino a quando Gesù dice: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». E allora la donna: «Signore, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non venga più qui ad attingere. So che deve venire il Messia, chiamato Cristo, quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa». Gesù la guarda intensamente e poi le dice «Sono io, che parlo con te». E così la samaritana colma di stupore lascia la sua anfora e corre in città e racconta a tutti del suo incontro. Viaggiando dentro noi stessi per recuperare la distanza che noi spesso poniamo tra il nostro io e noi stessi ci accorgiamo che ci sono tanti modi per andare a Cristo, ma al termine del nostro cammino verso di lui, quando scegliamo di incontrarlo, ci accorgiamo che lui non ci vende, è l’unico che non ci vende, ma ci compra. Ci compra con un amore che trasfigura la libertà del nostro cuore e fa cessare lo smarrimento dei nostri desideri. Ma poi dobbiamo andare oltre.
Nel pozzo di Sicar Gesù chiese da bere, ma anche oggi Gesù non ha smesso di chiedere, non ha smesso di tendere la mano. Perché è lui oggi che continua ad avere sete e fame, è lui oggi che è malato e abbandonato, è lui che è disoccupato. Non è retorica. Il nostro non è il tempo della retorica. Lo ha detto Gesù. «Avete dato da mangiare? Lo avete fatto a me. Avete curato un ammalato? Avete curato me. Tutte le volte che accogliete la mano del povero, avete accolto me». Ognuno di noi ha il suo pozzo presso il quale Cristo lo aspetta per l’incontro decisivo. Certo, Gesù continua ad aspettare. È paziente, è tenace. Ma poi, anche qui, siamo chiamati ad andare oltre. Il cristiano che incontra Cristo lo partecipa. Il cristiano non è un coltivatore di memoria. Cristo non è memoria. Il cristiano è un diffusore, è un seminatore di chi oggi ha incontrato. E se oggi manca questa carica missionaria è perché spesso si vive la fede come una semplice cornice, non come un incontro sovversivo con Gesù. Perché l’incontro con Gesù non lascia mail le cose e le persone come erano prima dell’incontro. Desidero recitare, con voi e per voi, la preghiera di papa Francesco con l’affidamento dell’Italia alla Vergine santissima. «O Maria, tu risplendi sempre nel nostro cammino come segno di salvezza e di speranza. Noi ci affidiamo a te, salute dei malati, che presso la croce sei stata associata al dolore di Gesù, mantenendo ferma la tua fede. Tu, salvezza perché grembo dell’autore della salvezza, sai di che cosa abbiamo bisogno e siamo certi che provvederai perché, come a Cana di Galilea, possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci, Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del Padre e a fare ciò che ci dirà Gesù, che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per condurci, attraverso la croce, alla gioia della risurrezione». Amen.