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Omelia di S.E. Mons. Giovanni Massaro
dalla chiesa cattedrale
santa Messa in suffragio di papa Francesco

«Chi è il più potente deve mettersi al servizio degli altri». Questo gesto colpì subito profondamente per la sua semplicità e per la potenza del messaggio: il papa non come autorità distante, ma come servo degli ultimi, vicino a chi vive il dolore, l'emarginazione e la speranza di una seconda possibilità.
E nel suo magistero, il papa ci ha più volte chiamati a ritornare all'essenziale, a non confondere la Chiesa con un'organizzazione sociale, a non smarrire la potenza del vangelo. Quante volte ci ha invitati a lasciarci sorprendere dalla «tenerezza di Dio», a non avere paura della misericordia!
C'è un messaggio che ha caratterizzato tutto il pontificato del papa argentino ed è il cuore del cristianesimo, quello della misericordia. Egli, fin dal primo angelus recitato il 17 marzo 2013, ci ha ricordato che la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio (cf. Gc 2,13): «Colpisce l'atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione». Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito, in particolare su chi ha peccato. «Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici»: così ha scritto nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia Misericordiae vultus. E nel messaggio per la quaresima del 2015 auspicò: «Quanto desidero che le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell'indifferenza!».
Come Pietro, anche Papa Francesco ha parlato con franchezza, talvolta rompendo schemi, scuotendo coscienze, ma sempre con uno sguardo pieno di amore per la Chiesa e per l'umanità. È stato il papa delle prime volte: primo papa gesuita; primo papa a chiamarsi Francesco, per ricordarci tutti coloro che sono dimenticati dalla società egoistica, tecnologica e perbenista; primo papa che non ha vissuto nell'appartamento del palazzo apostolico per stare in mezzo alla gente. E il giorno prima della sua morte ha chiesto di essere accompagnato in piazza San Pietro per salutare il suo popolo. Il pontefice venuto dalla fine del mondo si è fatto vicino a tutti accogliendo e abbracciando tutti, senza aver paura di sporcarsi le mani e di portare su di sé l'odore delle pecore. L'ho visto pranzare e cenare a Casa Santa Marta come tutti gli altri. Si fermava all'ingresso per parlare con la gente. Ha voluto apparire sempre come un uomo normale anche in precarie condizioni di salute. Umanità, semplicità e sguardo limpido con cui incontrava chiunque, sono le caratteristiche della sua persona.
In questi anni, diversi sono stati i momenti in cui personalmente ho potuto incontrarlo, ricevendo parole di affetto, di sostegno e di fiducia, in particolare durante il corso di formazione dei vescovi ordinati nel 2021. Egli, vedendo la mia giovane età, come un papà, teneramente mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Coraggio, coraggio». In seguito, quando lo avvicinai all'Aquila, in occasione della festa della perdonanza celestiniana del 2022, gli dissi che aveva l'età di mio padre che era deceduto da qualche anno. Egli mi rispose affermando che per me era papa e nel contempo faceva le veci del mio papà. Ancora un altro incontro avvenuto lo scorso anno quando ha ricevuto i vescovi ad limina della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. In quell'occasione con papa Francesco abbiamo avuto la possibilità di un colloquio profondo, in cui si è interessato delle gioie e delle fatiche del ministero episcopale di ogni vescovo dell'Abruzzo e del Molise, offrendo a ciascuno, senza alcuna fretta, come un padre attento e premuroso, preziosi suggerimenti e indicazioni. In occasione poi della festa dell'Azione cattolica in piazza San Pietro, il 25 aprile dello scorso anno, gli dissi che il coro che stava animando l'evento era costituito da giovani marsicani e gli chiesi una particolare benedizione per loro e per tutti i fedeli della Marsica. Mi sorrise compiaciuto pronunciando parole di apprezzamento per i giovani del coro diocesano.
Nel vangelo, i discepoli di Emmaus raccontano di aver riconosciuto Gesù «nello spezzare il pane», e proprio mentre parlano, il risorto si fa presente in mezzo a loro. Dice: «Pace a voi!». Questa è stata la missione di papa Francesco: portare pace, riconciliazione, fraternità. In un mondo lacerato da divisioni, violenze, e indifferenza, la sua voce è risuonata chiara: «Tutti fratelli!». Così ha intitolato una delle sue encicliche più potenti, proponendo un mondo più umano e più giusto, dove nessuno venga escluso. Spesso la sua voce è stata l'unica voce che ha ripudiato la guerra e ogni forma di violenza. L'unica voce che ha gridato il desiderio di pace.
Nel vangelo, i discepoli restano sconvolti, faticano a credere. Anche noi, tante volte, facciamo fatica a riconoscere il volto di Gesù nella realtà che ci circonda. Ma papa Francesco ci ha insegnato a cercarlo nei poveri, nei migranti, nei malati, in chi è scartato. Ci ha aiutato a vedere che ogni volto umano è volto di Cristo.
E come Gesù nel vangelo «aprì loro la mente per comprendere le Scritture», anche il papa ha saputo aprire il cuore di tanti al vangelo, con parole semplici ma profonde, capaci di toccare la coscienza anche di chi si era allontanato dalla fede.
Cari fratelli e sorelle, oggi rendiamo grazie per l'anima di questo uomo di Dio. Papa Francesco ci lascia una grande eredità: una Chiesa che cammina, che ascolta, che accoglie. Una Chiesa meno preoccupata di se stessa e più attenta alle ferite del mondo.
Ci ha insegnato a essere cristiani non «da salotto», ma in uscita. Ci ha insegnato che la fede non è un rifugio, ma una chiamata a servire. Ci ha insegnato che la gioia del vangelo è più forte di ogni paura.
Nel suo testamento spirituale – fatto non solo di parole ma di gesti – ci ha mostrato che si può vivere da credenti nel nostro tempo, senza rinunciare alla radicalità del vangelo.
Preghiamo oggi perché il Signore accolga papa Francesco nel suo abbraccio di luce. Che possa contemplare finalmente quel volto di Cristo che ha tanto amato, predicato, cercato nei fratelli e nelle sorelle.
E noi, lasciamoci ispirare dal suo esempio. Non rendiamo vano il seme che ha piantato con la sua vita. Continuiamo a camminare, insieme, come ci ha spesso detto: «Avanti! Sempre avanti!».
In tanti in questi giorni si lasciano andare a previsioni circa il nuovo pontefice. A noi non tocca fare previsioni, redigere classifiche. Il nostro compito è pregare nella certezza che il Signore manderà il pastore giusto per il bene del suo popolo. Amen.

 

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